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Tra il 1992 e il 1993 due delitti crearono in Italia forte emozione e paura. Avvennero in Umbria, nella zona di Foligno. Il 4 ottobre 1992 venne assassinato un bambino di quattro anni, Simone Allegretti; il 7 agosto 1993 un tredicenne, Lorenzo Paolucci.
Dopo il primo delitto l’assassino inviò lettere alla polizia, sfidandola e annunciando che avrebbe ucciso ancora. Si firmava autodefinendosi “il mostro”.
Le indagini furono difficili, non c’erano tracce, né prove, nessuno aveva visto nulla. Dopo il primo omicidio un ragazzo della provincia di Milano si autoaccusò: diede indicazioni realistiche su ciò che aveva fatto. Per 15 giorni le indagini si fermarono fino a che si capì che quel ragazzo si era inventato tutto. L’aveva fatto, disse, per attirare l’attenzione della ex fidanzata.
Il vero assassino fu preso dopo il secondo delitto. Lasciò questa volta numerose tracce che portarono fino a lui. Si chiamava Luigi Chiatti, quando lo fermarono disse: «Io sono un bravo boy scout».
Confessò quasi subito ma soprattutto, durante gli interrogatori, mise sé stesso al centro di tutto, parlando della sua vita (aveva trascorso i primi sette anni in un istituto per l’infanzia ed era stato adottato poi da una famiglia di Foligno), e dei suoi problemi, quasi giustificando e banalizzando ciò che aveva fatto. Aveva un piano, rapire dei bambini e vivere con loro per sette anni.
Senza mai scendere nei particolari dei due delitti, la storia degli omicidi di Foligno racconta di come segnali evidenti presenti nei comportamenti di Luigi Chiatti vennero ignorati, di come si svolsero le perizie psichiatriche e di come, al centro dei processi, ci furono proprio quelle perizie, molto contrastanti, sulla sua capacità di intendere e di volere. Luigi Chiatti ha finito di scontare la sua pena nel 2015 ma da allora è stato trasferito in una rems, una residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza. I giudici non gli hanno mai concesso di tornare libero: viene ancora oggi giudicato “socialmente pericoloso”.
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