Nel cuore del Pacifico, Taiwan continua a essere la linea rossa più delicata tra Stati Uniti e Cina. Dalle esercitazioni militari cinesi agli episodi di spionaggio, passando per l’ondata di propaganda digitale e il rafforzamento delle difese tecnologiche di Taipei, l’isola vive settimane di altissima tensione. Per Pechino, controllarla significa abbattere la barriera americana che limita la sua proiezione marittima e rafforzare la propria posizione internazionale. Il dominio sull’isola le garantirebbe inoltre l’accesso diretto alle più avanzate tecnologie globali, in particolare nel campo dei semiconduttori. Gli Stati Uniti, dal canto loro, considerano Taiwan un elemento chiave della propria strategia di contenimento della Cina, un baluardo democratico e un alleato (seppur non ufficiale) fondamentale per la sicurezza regionale. Intanto, però, Donald Trump ha confermato l’accordo quadro con Pechino sul ripristino della tregua che aveva visto i due Paesi sospendere la maggior parte delle rispettive tariffe. Quali conseguenze per quella che lo scrittore Giorgio Manganelli definiva «l’isola che non c’è»? Quali i rischi a breve termine? E perché il mondo guarda ancora a Taiwan come a uno dei possibili detonatori di una crisi globale? Ne parliamo a Macro con Giulia Pompili, Il Foglio, e Lorenzo Lamperti, Direttore editoriale di China Files
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